Paesaggi nascosti ENGLISH CLOSE
Restiamo in attesa dinanzi a questi dipinti.
Immersi nel loro spazio infinito e indeterminato, nella loro profondità, dentro una poetica della materia che ci appare già a un primo sguardo pregna ed arcaica. Richiamati da due linguaggi diversi che indagano e tormentano la pittura con tempi e media privati, pur nutriti entrambi di sostanze classiche esibite in modo intenzionalmente sgrammaticato.
La spagnola Isabel Ramoneda e l’americana Georgina Spengler hanno la stessa urgenza.
Quella di ritirarsi in un posto lontano nel contempo povero e prezioso, in quella natura di creazione e di genesi che non si guarda solo, ma si sente in empatia. Per darsi una spiegazione, per tentare di capire andando alla ricerca di un inizio.
Una natura che non resta fuori ma che avvolge l’artista e lo spettatore nel groviglio dell’esistenza, avvitandoli in un binomio senza distanze.
Un naturalismo nascosto, moderno e rivisitato, un filo rosso che ha un capo tra le Ninfee di Monet e si allunga, in una più ampia accezione panteistica, sino all’onda dell’Informale.
Tavole interamente bianche quelle di Isabel, sporcate dall’affronto del tempo. Imbrattate di quella polvere morandiana che è abilmente mescolata al colore. Colori chiari come il cemento e la calce, con cui l’artista sceglie di confrontarsi per proporre un nuovo assetto all’universo della pittura e innalzare un muro sporco invalicabile, entro cui ognuno di noi deve fare i conti e contro il quale il conterraneo Tapies ha già sbattuto il muso.
Una natura-oggetto, un colore-materia, una mappa interiore che svela scalate e percorsi in discesa, macchie livide che odorano di muffa, parole ossessive e annebbiate dall’opacità delle cose di oggi.
Tavole umide e cupamente verdi quelle di Georgina, come boschi e sottoboschi per creare una profondità vera. La natura en plein air cresce rigogliosa e vibrante sotto i nostri occhi, come la vita, e ci emoziona. Ma è una prosperità faticosa, che l’artista continuamente insegue e nega, raschia e ricompone, “per cogliere il movimento e la trasformazione che prende la vernice”.
Una natura che genera, scavando negli abissi della pittura: Constable, Turner, Fragonard, Twombly, Monet, Corot e altri ancora dove si avverte il grande amore per la materia, prima di tutto.
Ma che sprofonda anche nel baratro della poesia, cercando sulla sua strada di rendere visibile ciò che non si vede, come per queste opere che partono dalle parole del poeta Giorgos Seferis.
Georgina si abbandona al testo mentre lavora, leggendo e rileggendo una strofa, finché non diventi per lei quasi un mantra, per caricarsi di energia e non perdersi lungo il cammino.
Ivana Porcini