Georgina Spengler                        Biography                              Paintings                                   Bibliography                                Contacts

 

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Buone notizie



È l’esistenza in vita della pittura la buona notizia che ci dà Georgina Spengler. La sua pittura. Che non è più, come accadeva fino a non molto tempo fa, una delle tante. Oggi i pittori che continuano a fare i pittori sono mosche bianche. A farlo come si dovrebbe – intendo – con determinazione radicale, impegno assoluto, direi quasi  “cattiveria”, come si direbbe di quei giocatori che vogliono vincere a tutti i costi la partita. In questo caso la partita da vincere è quella di ricondurre la pittura al centro della scena. Dopo che ne è stata estromessa per lasciare lo spazio, tutto lo spazio, alle scorribande dei gendarmi del grande sistema dell’arte, quelli potenti ma potenti veramente, o al fibrillare di tentativi marginali – patetici a volte – di battere, da tardivi epigoni, le strade intasate del neo-pop o del neo-concettuale o del nulla.

Il lavoro della Spengler è una buona notizia, è una novità positiva. E la novità è che lei continua a fare quello che fa da decenni. E lo fa sempre meglio. Dipingendo otto ore ogni giorno come un operaio. Con la stessa sistematicità certosina degli antichi. Alla ricerca della folgorazione ma anche dello scavo metodico che porta il mestiere a diventare arte. Stavolta Georgina va in profondità fermandosi alla superficie. La superficie dell’epidermide che è divenuta l’oggetto della sua ricerca è, infatti, insieme una realtà pellicolare e l’osservatorio attraverso il quale affacciarsi sul profondo. Anche in medicina è così: lo stato di idratazione, il colore, il percorso tortuoso dei vasi, le eventuali lesioni, i flash delle vergini innamorate o il pallore del terrore e della morte forniscono la mappatura dello stato del soma e della psiche. La pelle è la linea di confine fra il fuori e il dentro. Fra il corpo e l’anima. Laddove – ce lo ricorda Carmelo Bene in uno splendido monologo – l’anima è sempre l’anima “del” corpo e non l’anima “nel” corpo destinata a fuggire  non appena si libera da esso.

Corpo e anima  sono inseparabili, a differenza di quello che ci hanno insegnato. È una delle verità che mi fa preferire mille volte Spinoza a Cartesio. E questa pittrice  ce lo spiega senza parole. Attraverso le velature della sua pittura sistematica e cocciuta. L’occhio che dimostra di avere è clinico e poetico insieme. La clinica della conoscenza e la poesia della compassione che si intuisce muovere le dita abili della pittrice. Compassione per le vicende umane, gagliarde e misere, sempre. Non è la lusinga delle facili seduzioni della bellezza a tentare questa artista ma, al contrario, la riproposizione di un criterio. Il criterio che vede al primo posto l’affermazione della pittura in sé, della pittura in quanto tale. Sembrerebbe una presa di posizione ideologica. E invece no. Perché se ti fermi a osservare le sue tele con l’attenzione che meritano, anche se non ci trovi “effetti speciali”, senti battere il cuore



Roberto Gramiccia