“Oltre l’orto” - Studio Hogan Lovells CLOSE
Poiché vi appare come annullata qualsiasi profondità e superficie, dinanzi ai quadri di Georgina Spengler non si riesce a essere certi che i colori riposino su un piano o avvolgano con spruzzi, vapore e nebbie le sale espositive. E’ un colore, a tratti nebulizzato, a tratti liquido, in grado di creare persino i sonori effetti di un’acqua che, appena risalita dalle profondità della materia, sia ancora in fase di ebollizione. Una materia colta in tutti i suoi stati: ferrosa, fluida, gassosa, solidificata. In ogni caso materia terrestre colta prima che si formi la natura così come la conosciamo. In questo rapporto materia/non ancora natura ravvisiamo la volontà dell’artista di cogliere le possibilità in fieri, proprio mentre si stanno formando, di ciò che potrebbe prendere appunto qualsiasi forma, ma in cui il colore è già interamente dato. Il che ci impone una considerazione: il colore è la materia.
Il colore, disperso in un ambiente senza profondità né superficie, diventa consistente fino a formare righe, linee, le quali avverano dimensioni spaziali che altrimenti non percepiremmo. Nella Spengler l’uso del colore è parimenti sostanza e spazio, moto e direzione. Le sue opere: uno straordinario dare inizio al mondo, restituendone, al contempo, la modalità conoscitiva. La Spengler, se trae da Turner e Monet suggestioni e citazioni, pure, inglobando la speculazione metafisica sulle strutture della percezione, colloca il suo lavoro in una ulteriore dimensione. In questo senso, il richiamo al titolo della mostra “Oltre l’orto” non indica soltanto l’abbandono della spazialità geometrica con cui siamo adusi rappresentarci, ma disperde il concetto di linea d’orizzonte per fondare sulla sola dimensione concettuale: quell’oltre da superare per riappropriarci della percezione, in ambiente naturale o interiore non importa. Sarà la perdita del luogo chiuso, delle pareti abitudinarie, del conosciuto, per andare incontro all’altro come entità estranea. D’altronde, il nostro rapporto con la natura non è dato una volta per tutte.
Non è possibile utilizzare esclusivamente la categoria del colore di matrice longhiana per definire il lavoro di Georgina Spengler; dovremmo, infatti, pensare che esso rientra anche in quella del disegno. Le linee che si vengono a formare nella densità del colore quasi come per ispessimento, ma motile e di un moto flessuoso, si muovono a fasci, come alghe trasportate da marina corrente e vanno a disegnare qualcosa che somiglia a un paesaggio. Echeggia la grande tradizione della pittura giapponese ed è un turbinio di linee a disegnare profili montuosi, cime e scrosci d’acqua, petali di crisantemo o gorghi d’erba… ma non è che un miracolo analogico ravvisare tali oggetti, per un attimo formatisi sull’onda del colore, come proiettati da un’improvvisa lingua di sole. Giacché in una cascata avvolgente di giallo, arancio, verde, bruno, ribollenti e fluidi, diluiti o deposti come un velo, il quadro si fa e si disfa in una frazione di secondo. Nessuna fissità, nessun congelarsi della forma o dell’immagine. Si ha la sensazione che una figura si stia formando, ma un attimo dopo si è già disciolta nel colore che fluisce come se fosse immerso nell’acqua e non fissato sulla tela. Il crinale su cui il rapporto figura/non figura non si decide è analogo a quello per cui non si può parlare della superficie del quadro, la quale non è localizzabile.
Dimidiata tra superficie e profondità, disegno e colore, moto e caduta, materia e velo, la pittura della Spengler pone al fruitore un inesausto esercizio di captare, di individuazione, di citazioni, di rilancio. Dinanzi a questi quadri si resta intrappolati da un incessante tentativo di afferrare la chiave di lettura dell’immagine, indecisi sulla disposizione da adottare in merito al sentirsi esterno ad essi o trascinato e avvolto dai colori e dalle linee che ne emanano con la forza di un profumo. Quando si parla di forza dell’arte, della sua capacità di restituirci a una rinnovata percezione, rimettendo in discussione canoniche categorie e suddivisioni, il riferimento è a opere che, come quelle di Georgina Spengler, ci fanno andare oltre quello che abbiamo sedimentato. L’immersione in un universo dischiuso ai nostri sensi, espandendosi anche la connaturata dimensione temporale, ci scompagina e ci restituisce una dimensione che non sapevamo esistesse, una natura di solo colore, linearmente fluente.
Rosa Pierno